
Contributo tratto dall’articolo pubblicato su Ars Historiae n.18 anno 2009, a cura del Dott. Luigi Casali, studioso e specialista di storia militare ed uniformologia, autore e coautore di diversi libri sulla battaglia e sugli Arazzi conservati a Capodimonte. Appassionato ricostruttore storico, socio onorario e Mastro Bombardiere del Circolo Culturale La Cinquedea.
Il 10 dicembre 1506 i rappresentanti di Luigi XII , di Massimiliano d’Asburgo e di Ferdinando il Cattolico costituiscono la Lega di Cambrai. Nel mese di marzo del 1509 si unisce ad essa formalmente anche papa Giulio II. Presentata ufficialmente come un accordo per riconciliare Massimiliano d’Asburgo e il nipote Carlo con il duca di Gheldria , protetto dai francesi , il trattato contiene in realtà clausole segrete per una guerra d’aggressione contro Venezia.
La Repubblica si trova in questo momento al culmine della sua fortuna politica, commerciale e militare e suscita timore, invidia e desideri di revanche tra le principali potenze europee che hanno, ciascuna, ragioni precise per muoverle guerra : Luigi XII , già signore di Milano, vuole Bergamo, Brescia, Cremona e la Ghiaradadda, il territorio compreso tra l’Adda e l’Oglio, che sono in possesso di Venezia in virtù di precedenti e legittimi trattati; l’Imperatore Massimiliano d’Asburgo che “si rodeva di rabbia contra de’veneziani” per la dura batosta subita nel marzo in Cadore, mira a Padova, Vicenza e Verona, a Treviso e al Friuli; Giulio II rivendica le città romagnole di Faenza, Rimini, Ravenna e Cervia; Ferdinando d’Aragona rivuole i porti di Trani, Brindisi, Otranto e Monopoli nell’Adriatico meridionale. In seguito si uniranno alla Lega anche il Marchese di Mantova che rivendica Peschiera, Asola e Lonato, e Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, che rivuole Rovigo.
Preparativi e Piani Operativi
Venuta ben presto a conoscenza delle clausole segrete dell’alleanza, la Serenissima accetta il guanto di sfida lanciatole dalla coalizione europea e si prepara alla lotta costituendo un poderoso esercito. Le forze messe in campo dalla Repubblica comprendono da 1700 a 1800 uomini d’arme, di varia qualità, con il loro seguito,2400 balestrieri a cavallo,1450 cavalieri leggeri dalmati,300 stradiotti e oltre 20.000 fanti di cui circa la metà sono mercenari, o “provisionati”,comprendenti i professionisti romagnoli della val Lamone, i temuti Brisighella, e altri soldati provenienti dall’Italia centrale e circa 10000 sono cernide o ordinanze nazionali di varia qualità arruolate nel contado. Tutte queste truppe sono addestrate alla “svizzera”. L’artiglieria campale, di ottima qualità, è composta di 36 pezzi compresi otto cannoni da 50 libbre.
L’esercito è suddiviso in quattro “bataglie” comprendenti ciascuna un “colonnello” di cavalleria pesante con circa 400 “homeni d’arme”, uno di fanteria con oltre 5000 fanti e un aliquota di balestrieri a cavallo. Si tratta senza dubbio del migliore esercito messo in campo da uno stato italiano nel corso delle guerre rinascimentali del primo quarto del XVI secolo, del tutto in grado di misurarsi ad armi pari con quelli delle potenze straniere. Il comando è affidato al vecchio, esperto e prudente, Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, con il titolo di Capitano Generale cui è affiancato come Governatore Generale l’abile e impetuoso Bartolomeo d’Alviano, ancora ammantato dalla gloria raccolta nella campagna del 1508 contro Massimiliano d’Asburgo. D’Alviano, propenso a un atteggiamento aggressivo, propone di invadere subito la Lombardia approfittando del fatto che i francesi, che rappresentano la minaccia più immediata, non sono ancora pronti. Il Senato veneziano, che vuole esercitare un controllo sulle operazioni militari, è però di parere differente. D’accordo con Pitigliano decide di adottare una strategia difensiva, di attesa, e ordina quindi che l’esercito non passi l’Adda ma si mantenga per il momento sull’Oglio. I veneziani si raccolgono dunque a Pontevico in un bel minuto campo trincerato e aspettano le mosse del nemico.
L’Inizio Delle Operazioni
I francesi intanto hanno raccolto in Lombardia un formidabile esercito che comprende 14000 cavalieri di cui 2300 sono “homeni d’arme” francesi e italiani, tutti di ottima/buona qualità, circa 4000 balestrieri a cavallo,8000 svizzeri, circa 14000 fanti guasconi, piccardi e italiani e alcune migliaia di guastatori; numerosa e ottima l’artiglieria, considerata la migliore in Europa, comprendente oltre 50 cannoni.
Mentre i francesi sono sicuramente superiori ai veneziani nella cavalleria pesante, le fanterie sono pressoché alla pari, non essendo i fanti svizzeri di ottima qualità perché la Confederazione, avendo deciso di restare per il momento neutrale, ha proibito ai propri sudditi di arruolarsi al soldo straniero. Contrariamente ai veneziani, che hanno scelto una strategia prudente, di logoramento, basata sulla difensiva, mirante ad evitare lo scontro campale, Luigi XII, che ha assunto personalmente il comando dell’esercito, è deciso a passare all’offensiva, desideroso di arrivare rapidamente alla battaglia.
Il 15 aprile Carlo d’Amboise, duca di Chaumont, inizia le ostilità effettuando una puntata in forze in territorio nemico. Passato L’Adda a Cassano con 3000 cavalieri,6000 fanti e numerosa artiglieria campale Chaumont si impadronisce facilmente di Treviglio i cui abitanti,spaventati dal pericolo del saccheggio,hanno obbligato la guarnigione ad arrendersi. A seguito di questi avvenimenti Niccolò Orsini, sollecitato da d’Alviano e soprattutto dietro “suggerimento” del Senato,decide di uscire dal campo trincerato di Pontevico e di entrare nel cuore della Ghiaradadda per muovere contro il nemico. D’Amboise, lasciato un presidio a Treviglio,ripassa l’Adda e si riunisce al grosso dell’esercito reale. L’8 maggio Pitigliano si presenta davanti a Treviglio. Impossibilitati a ricevere rinforzi e vista inutile ogni resistenza i francesi si arrendono a condizione, liberi tutti i soldati ma senza armi,prigionieri gli ufficiali e la città lasciata alla mercè del vincitore. Treviglio viene abbandonata al saccheggio dei Brisighella…..”Soldati diabolici….nephandissimi, homini rapinosi et di pessima sorte et conditione” che mostrano in questa occasione la loro ferocia, non inferiore a quella degli svizzeri e dei lanzichenecchi, mettendo a ferro e fuoco la città e commettendo ogni sorta di violenze contro l’inerme popolazione. Molto abilmente Luigi XII approfitta della momentanea “distrazione” del nemico per attraversare l’Adda di sorpresa e senza ostacoli su due ponti di barche lanciati a valle di Cassano. D’Alviano ritiene l’occasione propizia per attaccare i francesi mentre si trovano in crisi di movimento e sollecita Pitigliano a dare l’ordine ma è notte e Orsini, preoccupato dal disordine dei Brisighella impegnati nel saccheggio di Treviglio, preferisce aspettare.
Verso la Battaglia
I due eserciti avversari si trovano ora uno di fronte all’altro . Luigi XII , accampato a Rivolta , desidera combattere al più presto , Pitigliano, prudente per natura e forte delle istruzioni del Senato, è deciso a restare sulla difensiva , confidando nella forte posizione che occupa a Casirate , nei pressi di Treviglio. Egli è convinto che una strategia “all’italiana” , temporeggiatrice , fatta di colpi di mano, incursioni e assalti brevi e improvvisi portati contro le linee di rifornimento nemiche con l’ottima cavalleria leggera dalmata e soprattutto con quella stradiotta , che non ha eguali in campo avversario, alla lunga avrebbe dato i suoi frutti.
E in effetti Luigi XII comincia a trovarsi in difficoltà . Un attacco contro campo trincerato veneziano è impossibile e il nemico non sembra avere alcuna intenzione di concedere una battaglia campale.
Nell’esercito veneziano cresce la fiducia nella vittoria, il morale è alto e “lo esercito….sta su la victoria , et altro non desidera se non tacharsi con li inimici ; mai non se vide esercito più bellicoso nè animoso…..altro non se crida se non Italia! Italia! Marco! Marco!.
Dopo alcuni giorni di inutili scaramucce , constatato che è impossibile indurre i veneziani a combattere , il Re di Francia decide di muovere per uscire dall’empasse. Nella notte tra il 13 e il 14 maggio i francesi levano il campo e si mettono in marcia verso sud, diretti a Pandino, con l’intento di occupare una forte posizione nella Ghiaradadda e tagliare le linee di rifornimento dei veneziani.
L’avanguardia è guidata da Gian Giacomo Trivulzio e da Carlo d’ Amboise, il centro dal Re, la retroguardia da Francesco di Longueville. Avvertiti sui movimenti del nemico i veneziani decidono di prevenirlo e muovono a loro volta su Pandino. I francesi marciano lungo d’ Adda per la strada più lunga da Rivolta a Pandino , i veneziani, all’ interno , incolonnati sulla strada più diretta proveniente da Casirate. La fitta vegetazione impedisce un efficace compito di esplorazione per cui entrambi gli eserciti si muovono all’oscuro delle reciproche mosse.
In testa si trova Pitigliano con le prime due “bataglie”, comprendenti i Brisighella, mentre le altre due, la terza e la quarta , rispettivamente di Antonio dei Pio da Carpi e di d’ Alviano, comandate nell’occasione da Piero dal Monte, seguono in retroguardia ; l’artiglieria è al centro . D’ Alviano , smanioso di prevenire i francesi a Pandino , si muove velocemente all’avanguardia con la cavalleria leggera. La sua “bataglia” , che chiude la colonna veneziana, è forte di circa 400 uomini d’arme , 5400 fanti , di cui più della metà sono cernide di Padova e del Friuli e gli altri “provisionati” , e di alcune centinaia di balestrieri a cavallo; quella di Antonio dei Pio da Carpi comprende a sua volta 360 uomini d’arme , altri 5400 fanti costituiti per la metà da inesperte e male amalgamate cernide Bresciane e Trevigiane e un’ aliquota di balestrieri a cavallo. Nella tarda mattinata l’avanguardia francese del Trivulzio , forte di 500 lance , 6000 svizzeri e numerosa artiglieria si avvicina nei pressi di cascina Mirabello alla retroguardia veneziana che procede con un certo disordine . Gli eserciti avversari sono divisi tra loro da un tratto di pianura di circa un chilometro attraversato da un canale asciutto con argine.
Le fasi iniziali della Battaglia
Nel momento in cui si profila l’attacco francese sia d’Alviano che Antonio dei Pio da Carpi si trovano a Pandino in riunione con il Pitigliano per concordare il luogo dove piantare il campo. Il comandante delle fanterie del quarto “colonnello”, Piero dal Monte, schiera subito sull’argine del canale, tra i vigneti, 570 “provisionati” del capitano Saccoccio da Spoleto e le 3000 cernide e mette in riserva i restanti “provisionati” ; a destra, in posizione più arretrata per essere fuori portata dal tiro dell’artiglieria, si dispongono i 400 uomini d’arme. I francesi iniziano la giornata aprendo il fuoco con i cannoni sulle fanterie venete schierate sull’argine per obbligarle ad abbandonare la loro forte posizione. Infatti, mentre Piero dal Monte chiama in supporto l’artiglieria veneziana per controbattere quella nemica, le cernide e i “provisionati” di Saccoccio da Spoleto, stanchi di subire passivamente il fuoco nemico, scendono dall’argine e puntano sui cannoni francesi difesi dai tiratori guasconi. Trivulzio e d’Amboise attaccano allora i fanti veneziani con i loro uomini d’arme. D’Alviano, arrivato in questo momento, trova finalmente la battaglia da lui tanto desiderata. Invia quindi messaggi urgenti al Pitigliano perché accorra con il resto dell’esercito ed entra in combattimento inviando i suoi 400 uomini d’arme a sostegno dei fanti che, già duramente provati dal tiro d’artiglieria, sono ora sottoposti a una forte pressione da parte della cavalleria nemica. Piero dal Monte interviene a sua volta con i restanti fanti “provisionati” che ha tenuto di riserva. I cavalieri francesi sono respinti, mentre i fanti veneziani, rinvigoriti dai rinforzi, avanzano con rinnovato coraggio ed ardore contro le artiglierie che devono essere ritirate.
Frattanto il “colonnello” di Antonio dei Pio da Carpi si è schierato sull’argine. Il capitano Citolo da Perugia con 800 “provisionati” si stacca da questo “colonnello” e si porta di rinforzo a quello di Piero dal Monte. I francesi contrattaccano ora con parte delle fanterie svizzere. Queste sono però respinte a loro volta. D’Alviano avanza intanto con i suoi cavalieri contro il centro francese dove si trova Luigi XII. La vittoria sembra a portata di mano.Per assicurarsela sarebbe però necessario l’intervento delle forze di Pitigliano che si trovano a Pandino, a soli due chilometri di distanza.Alle pressanti richieste d’aiuto inviategli da D’Alviano, Orsini, trincerandosi dietro l’ordine del Senato di evitare la battaglia e convinto lui stesso che questa sia la strategia migliore per vincere la guerra, non rendendosi evidentemente ben conto della situazione nella quale si trovano la terza e la quarta “bataglia” , ha risposto invece di evitare il combattimento e di disempegnarsi, con ciò abbandonando di fatto il Governatore Generale e le sue truppe al loro destino….
La vittoria francese
D’Alviano è quindi solo e sta combattendo contro forze soverchianti. Per fermare la cavalleria veneziana Luigi XII le lancia contro 500 uomini d’arme; intervengono altri svizzeri che unitisi a quelli già battuti, ritornano all’attacco mentre la cavalleria di Trivulzio, riordinatasi, contiene l’impeto del provato quadrato veneziano di Piero dal Monte. La battaglia ha raggiunto il momento decisivo: a questo punto servirebbe l’intervento deciso delle truppe di Antonio dei Pio ma quest’ultimo è ancora a Pandino con Pitigliano e i suoi comandanti subordinati esitano incerti sul da farsi, memori degli ordini ricevuti di non impegnarsi in combattimento. D’altra parte le cernide bresciane e trevigiane non sono salde come quelle padovane e friulane. Fatte segno da un violento fuoco d’artiglieria si perdono d’animo, si disordinano e si danno alla fuga. Non meglio si comportano i 300 uomini d’arme del “colonnello” guidato da Giacomo Secco che preferisce sottrarsi al combattimento.
Nella breccia dello schieramento veneziano si infila la cavalleria francese che cattura l’artiglieria e prende alle spalle la fanteria nemica. La situazione si è completamente capovolta. I cavalieri di d’Alviano sono respinti lentamente verso Caravaggio mentre per i fanti del quarto “colonnello”, isolati dal resto dell’esercito e circondati da ogni parte dal nemico, non vi è alcuna speranza. D’Alviano, dopo che gli è stato ucciso il cavallo , è ferito e fatto prigioniero. I fanti di Piero dal Monte, di Saccoccio da Spoleto, di Citolo da Perugia e le povere cernide padovane e friulane serrate in quadrato attorno alle bandiere di San Marco devono battersi contro forze soverchianti. Piero dal Monte e Saccoccio da Spoleto sono già caduti da valorosi, Citolo da Perugia è stato ferito. Sotto un furioso temporale che rende il terreno fangoso e viscido sul quale è difficile sostenersi per la difesa ciò che resta del quadrato veneziano alla fine si sfascia. I suoi componenti sono in gran parte massacrati dagli svizzeri e dai guasconi.
La “zornata” iniziata verso le due del pomeriggio alle sei è già terminata. “Morirono in questa battaglia pochi uomini d’arme – scrive il Guicciardini – perché la uccisione grande fu de’ fanti de’veneziani, de’ quali alcuni affermano esserne stati ammazzati ottomila, altri dicono che il numero de’morti da ogni parte non passò in tutto seimila. Rimase prigione Bartolomeo d’ Alviano, il quale, con un occhio e col volto tutto percosso e livido, fu menato al padiglione del Re; presi venti pezzi d’artiglieria grossa, e molta rovinata”. Probabilmente i veneziani persero sul campo circa 5000 uomini; molti altri ne persero nei giorni e nelle settimane seguenti per le numerose diserzioni subite durante la ritirata condotta fino a Mestre.
Le conseguenze della sconfitta.
La disfatta di Agnadello costerà carissima alla Repubblica che, assalita da ogni parte, perderà quasi tutta la terraferma. Negli anni successivi Venezia si dedicherà alla sua riconquista. Ribaltamenti e cambiamenti di alleanze, una lunga ed estenuante guerra , le permetteranno di ritornare in possesso di gran parte dei suoi possedimenti solo nel 1516 , dopo l’adesione dell’imperatore Massimiliano al trattato di Noyon stipulato tra Francesco I e Carlo, re di Spagna.